...e gli ha pure dato un nome che è un programma: costa degli scheletri.
la Skeleton Coast
Namibia.
La corrente fredda del Benguela si infrange sulle acque calde dell'Africa del Sud, la nebbia pervade il deserto che si affaccia sul mare, le carcasse delle navi insabbiate spiccano spettrali, i fantasmi dei marinai che cercavano speranza ancora vagano...
Oceano e rottami sulla costa degli scheletri
La Skeleton Coast è completamente sabbiosa e dal mare si stende verso l'entroterra per decine di chilometri, non ci sono pozzi e l'unica acqua potabile che si può trovare è fornita dalle violente e improvvise alluvioni estive.
Forse c'è un modo più sicuro per attraversare questa landa desolata: il Desert Express, un treno di prima classe in partenza da Windhoek una volta a settimana, che offre scompartimenti luissuose e fermate a richiesta per foto e safari.
Magari sarà anche possibile incontrare qualche indigeno: solo i boscimani infatti riuscirebbero a vivere da queste parti. Il condizionale è d'obbligo perché dalla metà degli anni Novanta il governo ha cominciato a sfrattarli dopo aver scoperto una grande miniera di diamanti nella loro riserva. E non è bastato avere l'appoggio delle corti internazionali e dell'ONU per vedersi riconoscere qualche diritto: se la situazione non cambia, l'alcolismo, la depressione e l'AIDS renderanno un ricordo della globalizzazione anche questa tribù, che ha le giovani leve senza un futuro e senza le capacità di sopravvivere nella savana e nel deserto dei loro antenati.
Che per inciso, avevano una grande fantasia...
la Luna piena è così perché le è cresciuto un grosso stomaco. Allora illumina la terra, mentre la gente dorme. Quando però il Sole esce all'alba, è così pieno di invidia che la colpisce con i suoi raggi, che sono coltelli affilati. Così ogni mattina taglia via piccoli pezzi dal suo corpo, finché non ne rimane una sottilissima striscia, la spina dorsale. Da quel piccolo osso la Luna comincia di nuovo a riacquistare la sua vecchia forma: prima è una Luna crescente e poi una mezza Luna e comincia a diffondere una bella luce finché ritornata alla sua pienezza originaria la sua luminosità sconfigge la notte. Allora il Sole, geloso, l'aggredisce di nuovo e si ricomincia.....
Benvenuti a Malà Strana, la nebbia alla sera è sovrana
.....nel vecchio quartiere di Praga, sin dai tempi di Kresomysl il cercatore di tesori, che si scontrò con la saggezza di Horimìr e la potenza del suo formidabile destriero bianco Semik, che lo salvò dalla condanna a morte balzando dalle mura del castello dove già era pronta la forca, e ridiscese la collina finendo stremato alle pendici del Vyserad, dove con voce umana chiese al suo padrone una degna sepoltura. Lì ora riposa, pronto a tornare in caso di bisogno.
E forse fu così che nel XVI secolo venne fermato il Golem di Rabbi Loew, il gigante d'argilla con la parola emet (verità) tatuata sulla fronte, incaricato di difendere gli ebrei perseguitati, ma che perse la ragione e divenne un mostro assassino.
Castello di Praga
O forse no....
Ma Malà Strana non era solo il contraltare di Stare Mesto, il quartiere più ricco di Praga.
E' anche la zona più tranquilla e popolare, con il violino del fantasma di Dalibor che ci accompagna mentre vaghiamo per birrerie, o mentre alziamo lo sguardo verso la Bocca della Morte della Torre dell'Orologio, sperando in un cenno di buon auspicio.
E se mentre attraversate il Ponte Carlo nella nebbia noterete qualche strano movimento sul parapetto, dove ci sono le statue....magari il leone ai piedi del cavaliere o il turco sanguinario che imprigiona il santo Felice di Valois e i suoi compagni....forse non è un'allucinazione...forse, come narra la leggenda, stanno per dare il benvenuto a un neonato sull'isola di Kampa...
Comincia a fare un pò freddo e davanti a noi c'è la via Nerudova: al numero 2, all'inizio della salita, c'è la Casa del Gatto, sembra che il nome venga dal comportamento degli uomini in fase di corteggiamento alcolizzato.
La Velkopopovicky Kozel batte 12°, non farà più tanto freddo....
Sarà arrivata una busta, magari mentre sedeva al suo banco aspettando i clienti, magari un capo di stato o uno studente arabo di Gerusalemme est: l'aria calda del deserto e la confusione incollata alle strade, file di turisti diretti alla Città Vecchia per un pellegrinaggio e carretti di melograni che zoppicano verso la Porta di Damasco, per il fruttivendolo arabo.
L'avrà aperta e non avrà creduto ai suoi occhi, anche se in cuor suo sapeva che prima o poi sarebbe successo; magari da quando aveva deciso di studiare negli Stati Uniti e prendersi una laurea, per inseguire l'American Dream. Che per lui aveva un solo nome: Casa.
American Colony Hotel Bookshop
Munther Fahmi ai primi di aprile ha aperto la busta e ha trovato per iscritto la fine del suo Sogno Americano: a seguito del suo lungo periodo trascorso all'estero, il governo israeliano ha deciso di non rinnovargli il permesso di soggiorno permanente sancendo il suo status di straniero in terra straniera, a lui che viene da una famiglia che ha le sue radici a Gerusalemme da sempre. Ma Munther Fahmi ha di particolare il fatto che insieme a lui chiuderà la leggendaria libreria dell'American Colony Hotel.
Le librerie come quella di Fahmi non si trovano facilmente in questa parte del mondo, forse perché è uno dei posti in cui non si deve entrare dopo una fugace perquisizione dei vigilantes, abituati ad aprire borse e zaini che possano contenere bombe. La libreria di Fahmi è da sempre un punto di passaggio obbligato per lettori alla ricerca di libri tradotti in inglese, magari non propagandati dai distributori locali, e venduti dopo una breve chiacchera riguardo al suo ottimo inglese e alla vita di tutti i giorni in questa parte di mondo.
Il suo destino è probabilmente segnato, il suo biglietto di ritorno già pronto, nonostante gli appelli di Amos Oz e Ian McEwan su Facebook e in giro per la rete.
"Che libro mi consiglia...?"
"Leggi Brecht?.....Quello che ha scritto: Prima di tutti, vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendermi e non c'era rimasto nessuno a protestare. Un buon incipit per la guida di questa città, no?" (*)
"Quando morirò il mio unico desiderio è che la Cambogia rimanga Cambogia e appartenga all'Occidente: è finita per il Comunismo e voglio sottolinearlo." Pol Pot (1925-1998)
La Cambogia è sempre stata Cambogia: lo era prima di Pol Pot, il Fratello Numero Uno, che cercò di cambiarla radicalmente trucidando qualche milione di concittadini e disseminando la giungla di mine antiuomo.
Ma la Cambogia è sempre stata, dicevamo, Cambogia, sin dalle sue enigmatiche origini.
I libri di storia ufficiale parlano di un continente asiatico popolato da cinesi e Khmer, i discendenti dei cambogiani, padroni di tutta l'Indocina, che intorno al 900 d.C. iniziarono a costruire la loro imponente capitale: Angkor.
Quella che poteva essere, per estensione, la moderna New York, era strutturata con un imponente sistema di canali e riproduceva il mito dell'Oceano di latte indù da cui venne generato il Mondo; alte torri e muraglioni imponenti dimostravano l'utilizzo di blocchi di pietra e arenaria trasportati da siti distanti venti chilometri. I bassorilievi di raffinata fattura e le strutture architettoniche presenti testimoniavano una tecnologia avanzatissima.
A capo di questa incredibile società vi era Jayavarman II, un sovrano di "razza pura" che qualche esoterista sostiene provenire dal leggendario regno perduto di Agarthi: quel che è certo è che le torri di Angkor Wat rispecchiano la mappa stellare. Infatti esse sono state costruite lungo un asse est-ovest, esattamente come la piramide di Giza, e sono disposte riproducendo la costellazione del Drago: l'unica cosa a non quadrare è che le stelle del Drago, nel 1150 d.C. (anno approssimativo di ultimazione dei lavori), erano invisibili in Indocina, in quanto al di sotto dell'orizzonte. Per trovare un momento nella storia in cui potevano essere osservate dal Siam bisogna tornare indietro di 10.500 anni....come sarà stato possibile per i Khmer predisporre un progetto simile...?
..........Ma...sicuri che la Cambogia sia sempre stata Cambogia......?
Oltre a questo c'è da dire che la Sfinge è orientata a est verso il Leone, le piramidi di Giza a sud verso Orione e le piramidi di Akapana a ovest, nel punto in cui 10500 anni fa si osservava l'Acquario: solo che all'epoca della costruzione di Akapana la costellazione dell'Acquario non era visibile a quella latitudine. In più il sistema di canali di questa piramide ripropone fedelmente lo schema dell'Acquario.
Ora, prendendo la Sfinge come meridiano 0 dell'epoca, si vede che Angkor si trova a 72° est: moltiplicando per 5 abbiamo esattamente 360°, ovvero l'angolo giro, a dimostrazione che dalla notte dei tempi l'uomo sapeva della sfericità della Terra.
Incrociando i testi sacri delle più diffuse religioni e analizzando i rilievi sui templi indocinesi noteremo che il serpente sacro Naga è la raffigurazione del Drago; forse lo stesso serpente che è stato gettato da Minerva dai cieli e lo stesso che ha protetto Buddha durante la tempesta senza fine; magari il medesimo in cui si è tramutata Osiride per calarsi da Duat, il re dei Morti, che abitava in un palazzo le cui pareti erano fatte di cobra vivi.
Tra l'altro i seguaci di Horus sono uomini-aquila, come Garuda, il nemico dei serpenti.
Il 72 è inoltre un numero precessionale: Angkor infatti è in linea con l'alba il giorno dell'equinozio di primavera. Il sole, in quel determinato giorno, sorge sopra la torre centrale del complesso.
Potremmo fornire altre prove che mettono in seria difficoltà la scienza e la storia ufficiale (non noi, chi ha studiato): cosa lega gli egizi, i khmer e le civiltà del Sud America a distanza di migliaia di anni? E come calcolarono alla perfezione i parametri che gli consentirono di costruire città intere in connessione con la posizione degli astri celesti? E soprattutto con la posizione che avevano quegli astri nel Neolitico?
Bisogna andare indietro nel passato per guardare nel futuro...
Nella notte c’è una luce, mai si spegnerà
ma buia è la strada che ci porta, verso...
Sole grande, sole giallo, ci accompagnerà
e vola un gabbiano che ci guida, verso...
Una mano stringe il fiore della verità
e il vento del sud gonfia le vele verso...
Una voce, mille voci, gridano con noi
il fiume più limpido che scorre verso..(*)
....Mompracem.....se esistesse....
oggi la Tigre non andrebbe più a Labuan alla ricerca della sua donna con l'intento di strapparla agli inglesi e portarla nella sua roccaforte, nel mar Cinese meridionale: a Labuan troverebbe la sala giochi del Brunei e quindi, al massimo, ci lascerebbe il fedele Yanez.
Lui probabilmente solcherebbe i mari verso i confini nord orientali del Sabah con i suoi prahos e scoprirebbe che i fondali sono pieni di relitti della seconda guerra mondiale, lì in quell'angolo di mondo in cui la Marina di tutto il mondo si è data battaglia in una guerra che si è giocata su ben altri tavoli.
Noi invece potremmo prendercela comoda e percorrere la costa via terra usando un vecchio treno a vapore della North Borneo Railway, un attrezzo coloniale che forse ci avvicinerebbe di più al Rajah bianco, James Brooke, e che quindi, in fondo, non ci darebbe molta soddisfazione.
Riflettendo sarebbe meglio attraversare la foresta sfidando i dayaki tagliatori di teste, o i Bajaus, gli zingari del mare, che vivono nei corsi d'acqua fra le mangrovie, ma ne varrebbe la pena per visitare il parco di Kinabalu, dalle misteriose specie animali come gli orangutan e che pullula di piante così insolite.
Voi aspettatemi sulle spiagge di Simpang Mengayau, dicono che i tramonti siano mozzafiato lì.
Simpang Menganyau
Personalmente farei anche un salto alla barriera corallina delle isole Tunku Abdul Rahman, fra una nuotata e l'altra magari trovo anche chi mi prepara un buon Singapore Sling...
....chissà se lo fanno buono come al Raffles Hotel ....
E intanto Yanez fumava flemmaticamente la sua eterna sigaretta.... (I pirati della Malesia di E. Salgari)
All'ombra delle verande dei bar, caffé laotiano in una tazza, mentre il mercato prende forma: se vi trovate a Luang Prabang al crepuscolo, non ci sarà bisogno di cercare un ristorante, una ciotola di riso alle verdure e una buona birra Lao su una tavolata di legno è più che sufficiente per rifocillarsi, prima di cercare cianfrusagli al mercato notturno.
Luang Prabang è un posto meraviglioso, non c'è altro da dire: situato alla confluenza di tre fiumi, tra cui il grande Mekong, e capitale del regno del Laos fino all'ascesa del comunismo nel 1975, è forse l'unico esempio al mondo di città interamente sottoposta alla tutela dell'UNESCO. Ogni angolo di questo posto, secondo le autorità internazionali, deve essere salvaguardato, e visitandola si capisce che non ci si riferisce solo al paese, ma a tutto quello che vi ruota intorno.
Infatti se vi capiterà di uscire presto la mattina vedrete dei monaci in processione a cui la gente sarà felice di donare del cibo (secondo il Buddha gli asceti non possono avere denari, né elemosinare), vi capiterà di fare colazione in qualche pasticceria svedese per assaggiare qualche croissant, di approssimarsi al molo delle barche per Pak Ou, la grotte delle statuette di Buddha, oppure aspettare la sera leggendo un libro prima di andare alla sede della Croce Rossa e godere di un massaggio lao-svedese che vi rimetterà al mondo insieme ad una sauna alle erbe.
Grotte di Pak Ou
La visita di Luang Prabang non può prescindere dai suoi templi innumerevoli e dalle cascate di Kuang Si, ottima per una bagno in una terra che non ha sbocchi sul mare.
Arrivare a Luang Prabang non è un problema: a poche decine di chilometri dal famigerato Triangolo d'Oro, è raggiungibile via fiume a seconda della stagione, via aerea con qualche sgangherato Tupolev locale o qualche biplano Thai, oppure con l'autobus percorrendo la Rte 13, a soli dodici ore di curve da Ventiane.
Cascate di Kuang Si
Non partite comunque prima di aver assaggiato un pesce di fiume al latte di cocco: è imperdibile!
E vi lasciamo col brano di Dave Van Ronk che ci ricorda la guerra del Vietnam e il fatto che essa fu in realtà combattuta in Cambogia e qui, in Laos, dove ancora si deve fare i conti con le conseguenze.